Efficacia del titolo sospesa: creditore intervenuto non ha diritto all’accantonamento

In una procedura esecutiva immobiliare presso il Tribunale di Rovigo un gruppo di creditori è intervenuto sulla base di un titolo esecutivo – sentenza di primo grado che riconosceva loro una somma a titolo di risarcimento dei danni – la cui efficacia esecutiva è stata sospesa in appello relativamente alla metà del credito liquidato. I detti creditori chiedono pertanto al giudice dell’esecuzione che sia disposto l’accantonamento dell’importo ‘sospeso’, in attesa del deposito della sentenza di appello e del successivo passaggio in giudicato.

Il debitore esecutato, formulando le osservazioni al progetto di distribuzione redatto dal professionista delegato, si oppone alla richiesta: il motivo è che la situazione giuridica dedotta (intervento nella procedura sulla base di titolo esecutivo divenuto parzialmente inefficace a seguito dell’ordinanza di sospensione parziale della Corte di Appello di Venezia) non è contemplata dall’art. 510 c.p.c. e l’istituto dell’accantonamento concerne esclusivamente le “somme che spetterebbero ai creditori intervenuti privi di titolo esecutivo i cui crediti non siano stati in tutto o in parte riconosciuti dal debitore” (art. 510, comma 2, c.p.c.).

Il giudice prende le mosse dall’assenza di pronunce giurisprudenziali della Suprema Corte, reperito l’unico precedente di merito (edito) nella pronuncia del Tribunale di Padova del 13 febbraio 2007, che avrebbe affermato l’applicabilità dell’art. 510, comma 3, c.p.c. all’ipotesi di intervento fondato su titolo esecutivo revocato durante la pendenza dell’azione esecutiva.

In ambito dottrinale sussiste invece un contrasto tra chi sostiene l’applicabilità dell’art. 510 c.p.c. (rinvenendo nella medesima ratio la possibilità di accantonamento delle somme di cui al titolo sospeso) e chi invece non la ritiene fondata, sia per il carattere eccezionale della disposizione, sia per la diversità sostanziale delle due fattispecie.

Il giudice dell’esecuzione di Rovigo finisce per aderire alla seconda tesi, non condividendo “la assimilazione tra il creditore che ancora non ha potuto accertare giudizialmente il proprio diritto di credito a quello che tale accertamento si è visto negare (in tutto o in parte)” e, soprattutto, ritenendo la eccezionalità della disposizione che, come tale, non sarebbe estensibile analogicamente: essa statuisce una deroga al principio generale secondo il quale possono soddisfarsi sul ricavato solo i creditori muniti di titolo esecutivo o il cui credito sia riconosciuto dal creditore.

Con l’ordinanza il giudice sospende l’esecuzione (giunta alla fase distributiva) ex art. 623 c.p.c., relativamente alle somme che restano oggetto di accertamento, fino alla decisione della Corte di Appello di Venezia. Ciò essendo “conseguenza della sospensione del titolo fondante la esecuzione (fino alla decisione, anche non definitiva, sul titolo stesso)”.

Si noti anzitutto che non è stato applicato l’art. 512, comma 2, c.p.c., in quanto la controversia non ha origine nella fase distributiva bensì aliunde. L’esecuzione è stata sospesa ex art. 623 c.p.c. perché questa è la disposizione da invocare ogniqualvolta la decisione del giudice della cognizione, in sede di impugnazione, vada a paralizzare l’efficacia esecutiva del titolo.

Fonte: Altalex